Tratto nel 1951 dal romanzo Totò il buono di Cesare Zavattini, il film di Vittorio De Sica vinse la Palma d’oro a Cannes ma non fu un successo ai botteghini. Totò (Francesco Golisano) è un ragazzo che viene tirato sù dalla signora Lolotta (Emma Gramatica). Alla morte della donna finisce in orfanotrofio e poi ospite di un barbone in un quartiere di baracche alla periferia di Milano. Qui incontra Edvige, una domestica con la quale inizia una delicata storia d’amore, Arturo, un ragazzo triste che salva dal suicidio, l’egoista Rappi e tanti altri compagni di sventura. Un giorno si presentano Mobbi e Brambi, due ricchi che vogliono acquistare il terreno e assicurano ai barboni che possono rimanere. Mentre si festeggia l’avvenimento e si pianta l’albero della cuccagna, il petrolio sgorga dallo scavo. I ricchi chiamano la polizia per sgomberare il terreno, dal cielo interviene Lolotta che invia una colomba miracolosa in grado di risolvere ogni problema. Arrivano gli angeli, si riprendono la colomba e riportano l’ordine. Ma la signora riesce ad inviare di nuovo la colomba a Totò, così i poveri escono dai cellulari e impradonitisi delle scope degli spazzini di Piazza Duomo, volano verso un luogo dove «Buon giorno significa veramente buongiorno». Gli eroi di questo apologo fantastico vivevano nei prati (del 1951) dietro la ferrovia di Lambrate. Quegli spazi la città se li è mangiati, ma era proprio lì, fra quegli anonimi palazzi che Vittorio De Sica ha girato la meravigliosa sequenza dei barboni che si scaldano al sole.
Massimo Rota