La prima cosa che si capisce entrando nel laboratorio del tagliatore di pietre Fabio Crippa è che a muoverlo c’è davvero tanta passione. A qualcuno potrà sembrare, in un primo momento, un personaggio un po’ spigoloso, come le sue pietre, in realtà ha una sensibilità rara già quando descrive, sul sito, la sua attività: «Un laboratorio moderno, teso alla ricerca del bello».
Per questo non ci stupiamo di parlargli mentre è al lavoro, tra una macchina da taglio e una pulitrice, né di andare subito al cuore del problema: «Ci siamo ridotti perché la domanda non è più quella di una volta e in più non ci sono più le scuole professionali che indirizzano verso i mestieri artigianali». Una sintesi perfetta. Ma non manca uno sguardo positivo: «Noi ci stiamo salvando perché da quando ho aperto, nel 2002, con l’inizio dell’euro, sono partito che era già abbastanza complicato, così ho cominciato a prendere tutti i lavori difficili che gli altri non volevano fare. Da lì la sfortuna del periodo è diventata la mia fortuna, perché prendendo anche gli incarichi che non mi competevano, alla fine ci siamo trovati sempre con qualcosa da fare, ma il guadagno non c’è».
A dare il quadro della situazione interviene anche Margherita Baldi, socia della Nuova taglieria artigiana pietre dure e compagna di vita di Fabio: «Noi non lavoriamo con il privato. Lavoriamo con la ditta orafa, con il designer, con il negoziante, quindi siamo l’ultima ruota del carro perché dopo di noi ci sono tanti passaggi. Peccato che a noi facciano le pulci su 10 euro per poi vendere il pezzo a 100 volte tanto».
Un sapere tutto italiano
Eppure le cose da valorizzare sarebbero tante, spiega Fabio: «Quelli che hanno inventato il taglio e la lavorazione delle pietre siamo stati noi italiani, insieme ai tedeschi. Solo che, mentre in Germania, nella zona di Idar-Oberstein, esistono itinerari turistici e culturali per scoprire le tecniche dei maestri tagliatori, organizzano incontri, viaggi, occasioni per raccontare il mestiere, in Italia… no». Margherita conferma, e aggiunge: «Due volte l’anno dalla Francia ci mandano gli studenti a imparare: perché lì non c’è la tradizione che abbiamo noi. Qui, invece, non abbiamo contatti con nessuna scuola»
Un patrimonio molto particolare, quello della Nuova Taglieria Artigiana, perché qui si fanno anche le incisioni e i macchinari utili alle altre taglierie: «Siamo andati oltre per esigenze di sopravvivenza: dall’orologeria, alla lavorazione di oggettistica fine, facciamo molte cose particolari che gli altri non vogliono fare. Il motivo? Vogliamo che questo lavoro non finisca».
Il vero made in Italy
Un altro punto sta molto a cuore a Fabio Crippa: «Si parla tanto di Made in Italy ma non c’è più nulla di fatto veramente qui. Non è possibile che non ci sia una legge che non identifichi meglio il marchio made in Italy: se è fatto in Italia, deve essere fatta qui ogni componente, non solo l’assemblaggio». Un tasto dolente che li coinvolge in modo particolare: «Oggi, anche le ditte grosse che ormai sono sotto multinazionali, hanno persone sbrigative e poco esperte. C’è gente con la lente d’ingrandimento che rimanda indietro una pietra bellissima anche se vede un piccolo segno, mentre una volta il vero esperto era in grado di capire che non si sarebbe visto nella montatura e la prendeva comunque. Se oggi va consegnata perfetta, va anche tenuto conto del lavoro in più e sono costretto ad aumentare i prezzi. Peccato che poi mi senta dire che preferiscono rivolgersi a qualcuno che le procura dall’oriente, così costano la metà. E a quel punto prendono anche quelle segnate».
In tutto questo chi aiuta il piccolo artigiano? La risposta è unanime: «Nessuno. Non c’è nessuna tutela. Nè per chi vuole imparare il mestiere, né per noi che, dalle varie associazioni di categoria alle quali ci siamo iscritti (e disiscritti) nel tempo, non abbiamo avuto nessun sostegno»
Una soluzione possibile? «Sentiamo l’esigenza di una fiera vera, com’era quella campionaria, dove si vada non per vendere ma per farsi conoscere e prendere contatti tra addetti ai lavori». Sarebbe un aiuto concreto, perché le cose da fare ogni giorno sono troppe: «Un artigiano italiano deve essere venditore, compratore, lavoratore, operaio… deve fare tutto. Ma noi dobbiamo occuparci prima di tutto di fare bene il nostro mestiere».
È tempo di seminare
E qui arriva il punto più caro a Fabio e alla sua piccola squadra (con lui e Margherita c’è anche Iri e qualche collaboratore su chiamata): «Mio padre era del settore e, quando ho iniziato a lavorare in questo ambiente, ho cercato subito di andare nelle altre taglierie per imparare. Purtroppo ho trovato solo porte chiuse. Da quel giorno, il mio sogno è sempre stato quello di voler aiutare chi vuole iniziare: noi vogliamo trasmettere il nostro sapere. Non abbiamo mai pensato di voler fare i soldi». E a giudicare dall’accoglienza che Fabio e Margherita riservano a Iri e agli altri giovani tagliatori che, dopo essere passati qui a bottega, si sono poi messi in proprio, è evidente che questo aspetto del loro mestiere è senza dubbio un successo. Certo: «Si semina con pochi semi…». Ma l’importante è seminare.
Per saperne di più: nuovataglieria.it
Manuela Florio